Personale omaggio ad uno dei luoghi più intimi del mio percorso di vita, nonché una delle regioni italiane in cui è possibile ancora farsi contaminare l'anima da madre terra: le Marche. Oltre la pittura, lavorare la terra in tutte le sue forme è ciò che letteralmente mi dona pace. Quel giorno avevo appena terminato di prendermi cura del mio porto sicuro, un piccolo casale sulle colline di Corinaldo. Era pieno autunno,  accovacciato per terra, le mani piene di fango accesi una sigaretta e lasciai che il mio sguardo si perdesse nei colori di fronte a me, dal cielo alla terra. Sullo sfondo un albero, credo un gelso, si lasciò pettinare la chioma dal maestrale che giocando col sole colorava il cielo delle cinque.  Decine di foglie presero il volo come uno stormo di uccelli, sparendo dolcemente verso l'orizzonte seguendo una retta immaginaria come chi cerca il punto di fuga di una prospettiva. Fu allora che mi accorsi anche del resto di esse che giacevano come petali alla base di quell'albero. Fu allora che mi resi conto di quanto quel momento fosse lo specchio del mio vivere quello scorcio di fine estate, stranamente concesso in quell'autunno inoltrato. Come le foglie di quell'albero avevo lasciato che parte del mio vecchio io volasse via definitivamente senza malinconia. Come quell'albero io ero ancora lì, nonostante tutto, nonostante il vento, fiero delle mie radici, proiettato nel mio tempo, conscio di chi ero e di chi volevo continuare ad essere. Non tutti i pensieri, come le esperienze, possono volare via. Alcune devi tenerle li, ai tuoi piedi, alla base delle tue radici, per ricordarti che dalla morte puoi rinascere. Il vento ci sarà sempre e ciò che non serve volerà via nel passato e avrà comunque avuto un senso, il senso di avermi plasmato in ciò che sono, un lupo.